Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 6 marzo 2018

Romanitas. Per ricordare da dove veniamo

Per ricordare da dove veniamo e essere consapevoli e responsabili di dove stiamo andando.

ROMANITAS

Il contributo di Roma e della romanità alla caratterizzazione etica e politica di quella porzione di spazio geografico conosciuta con il nome di Europa e, più ampiamente, di Occidente è assai noto, soprattutto per l’affermazione del concetto di Stato, quale forma (1) del vivere associato, e del concetto di diritto, al primo strettamente correlato.

Una caratterizzazione le cui tracce sono ancora presenti – non solo nelle vestigia scultoree ed architettoniche tuttora esistenti – nonostante lo scorrere del tempo e gli avvenimenti che hanno mutato lo stile di vita dei popoli europei.

Scopo del presente scritto, è quello di individuare e riproporre alcuni tratti caratteristici della migliore romanità, in particolare quegli aspetti che, sul piano etico e spirituale, hanno determinato la grandezza e la nobiltà del tipo romano e, quindi, della romanità stessa. A parere di chi scrive, l’essenza della migliore romanità va colta nel cosiddetto mos maiorum, il costume dei Padri, che ha caratterizzato soprattutto il periodo della repubblica, momento storico in cui si è manifestato in modo evidente un certo modo di porsi, da parte dell’uomo romano, di fronte a sé stesso, agli altri ed al mondo.

Rispetto ad un altro punto di riferimento e pilastro dell’epoca classica, ossia l’antica Grecia delle città Stato e delle grandi conquiste e speculazioni filosofiche, ciò che distingue la romanità è una certa capacità di concretizzare, nella pratica delle virtù, quelle verità eterne che i Greci erano stati in grado di definire ma incapaci di assumere: per dirla con Pierre Grimal “… ciò che lo spirito mostrava loro non è mai davvero penetrato nella loro anima”.

Romanitas è il vocabolo usato da Tertulliano per significare tutto ciò che un Romano considera ovvio, istintivo, indiscutibile, connaturato alla propria mentalità. Ѐ un vocabolo molto affine al termine “civiltà romana“, ove per civiltà si intenda ciò che gli uomini pensano, sentono e fanno. E, se è vero che la civiltà si manifesta in modo tangibile tramite segni esteriori e materiali, è altrettanto vero che la sua essenza è eminentemente spirituale. Secondo Tacito, solo l’ignorante pensa che monumenti, palazzi e raffinatezze siano la civiltà.  Humanitas, termine tra i preferiti da Cicerone, illumina un concetto squisitamente romano, nato dall’esperienza di Roma.

Esprime, da un lato, il senso della dignità della persona umana, che è unica e deve essere rispettata e messa in grado di svilupparsi pienamente; dall’altro implica il riconoscimento della personalità altrui e il diritto di ciascuno a coltivarla. Ma la frase che più comunemente e con maggior concretezza definisce la civiltà è semplicemente questa: pax romana. In questa idea il mondo constatò con maggiore evidenza il raggiungimento di quella missione che il carattere, l’esperienza e la potenza romana avevano a poco a poco scoperto e consapevolmente assunto.

Ma qual è l’essenza della romanità? Durante l’intero corso della loro storia, i Romani furono sempre profondamente consci dell’esistenza di un potere posto al di fuori dell’uomo, individuo o collettività: un potere imprescindibile. L’uomo deve subordinarsi a qualcosa; se rifiuta di sottomettervisi, o lo fa con riluttanza, è destinato a sicura rovina; se accetta senza riserve il potere che lo trascende, scopre che può anche essere elevato alla dignità di collaboratore di esso, ciò che può consentirgli di discernere la strada e, forse, la meta. La collaborazione zelante e spontanea gli infonde un senso di missione; i fini gli divengono più comprensibili, facendolo sentire agente o strumento nel raggiungerli. In altre parole, egli diventa consapevole di una vocazione, riservata a lui e a quelli che, come lui e con lui, formano lo Stato.

Sin dalle origini di Roma è avvertibile nel cittadino questo senso di dovere religioso, inizialmente rozzo e inarticolato, e non disgiunto da superstizioso timore; in seguito espresso con maggiore chiarezza, e sprone nell’agire. Negli ultimi tempi la missione di Roma è proclamata apertamente; spesso a voce più alta proprio da chi, in senso stretto, non è vero romano e più insistentemente proprio quando, nella sua espressione visibile, questa missione è esaurita. Il senso di dovere, di missione, si rivela dapprima in forme semplici, umili, in seno alla famiglia e alla casa; quindi si espande nella città-Stato per culminare nell’idea imperiale. A seconda del momento, esso occupa differenti categorie di pensiero e assume differenti espressioni, ma nella sua essenza è religioso, poiché trascende l’esperienza sensibile; una volta adempiuta la missione, anche la sua base si trasforma. Ѐ questa la vera chiave per comprendere i Romani e la loro storia.

La mente del romano è quella del contadino-soldato, e ciò è vero anche per i tempi più tardi, quando può non essere più né l’uno né l’altro. Lavorare senza sosta è la sorte del contadino, poiché le stagioni non aspettano i comodi di nessuno. Ma il lavoro, da solo, non serve a nulla: l’uomo può far progetti e preparativi, arare e seminare, ma deve pazientemente attendere l’aiuto di forze che sfuggono alla sua comprensione , e tanto più al suo controllo. Se esiste un modo per procacciarsene il favore, egli lo adotterà, ma nella maggior parte dei casi potrà solo collaborare con esse, mettersi al loro servizio per attuare i loro fini e, subordinatamente, i propri.

Intemperie e infortuni potranno rendere vane le sue fatiche; in tal caso dovrà accettare il compromesso e saper aspettare. La semina, la crescita delle messi, la raccolta, nella loro ordinata ripetizione, regolano la sua esistenza; la vita dei campi è la sua stessa vita. Se, come cittadino, sarà spinto a intraprendere un’azione politica, tale azione sarà volta a difesa della sua terra, del suo commercio o della fatica dei figli. Per lui, la conoscenza raggiunta attraverso l’esperienza ha maggior valore di qualsiasi speculazione teoretica. Le sue prime virtù sono onestà e frugalità, previdenza e pazienza, operosità, coraggio e tenacia, semplicità e umiltà di fronte a ciò che sta sopra di lui. Sono le stesse virtù del soldato.

Anche il soldato conosce il valore della routine come parte della disciplina, poiché è suo compito rispondere all’appello improvviso con prontezza quasi istintiva. Anche il soldato deve avere fiducia in sé, possedere la forza e la perseveranza del contadino, mentre l’ingegnosità pratica di costui lo aiuta a diventare ciò che il soldato di Roma deve essere: un costruttore di strade, di fossati e di valli, colui che sa tracciare un accampamento o una fortificazione allo stesso modo in cui sa delimitare i confini di un campo o disegnare un sistema di canali di scolo. Sa vivere della terra, perché l’ha sempre fatto. Anch’egli è consapevole dell’esistenza di quel elemento imponderabile che può sovvertire il più cauto progetto: anch’egli crede a forze invisibili e chiama fortunato quel generale che la potenza ignota sceglie a proprio strumento. Ѐ leale verso gli amici, si affeziona ai luoghi. Se e quando si abbandona alla violenza politica, lo fa per assicurarsi una casa e un pezzo di terra da coltivare quando sarà finita la guerra, e incrollabile è la sua fedeltà al generale che difende la sua casa.

Uno dei concetti che maggiormente spiega il pensiero dei Romani, è il concetto di genius. L’idea del genio risale al pater familias il quale, generando i figli, diviene capo della famiglia. Il suo carattere essenziale di procreatore viene isolato e gli viene attribuita una essenza spirituale autonoma. Egli guida la famiglia che gli deve la propria continuità e cerca in lui la protezione. Così, come membro di quella misteriosa sequenza figlio-padre, l’individuo acquista nuovo significato; è posto su uno sfondo, non più continuo, ma spezzato, in cui i pezzi hanno forme diverse, e uno di essi ha la sua forma. Il suo genio, pertanto, è ciò che lo pone in una relazione speciale alla sua famiglia nel passato, che ora è scomparso, e nel futuro, che avrà origine dai suoi figli. La catena di un potere misterioso unisce la famiglia di generazione in generazione, ed è grazie al suo genio che egli, uomo di carne e ossa, può essere un anello di questa catena invisibile. Come il genio della famiglia esprimeva l’unità e la continuità della stessa attraverso le generazioni, così si venne ad attribuire un genio particolare anche a un gruppo di uomini non uniti da vincoli di sangue, ma da interessi e scopi comuni.

Il gruppo acquista un’entità: il tutto è più delle parti che lo compongono, e questa misteriosa personalità collettiva è il genio. Nell’organizzazione familiare contadina, la donna occupa una posizione di autorità e responsabilità. Tra i Romani, teoricamente, la donna era soggetta alla potestà del marito e non godeva di alcun diritto legale. Tuttavia non era tenuta segregata e condivideva la vita del marito, stabilendo quel codice di virtù uxorie e materne in seguito ammirate e invidiate. L’autorità dei genitori era rigida: essi esigevano e ottenevamo il rispetto dei figli che facevano vivere in stretto contatto con loro, in casa e fuori. Si impartiva ai ragazzi un’educazione “pratica“,  e le storie del passato erano presentate in modo che se ne potesse trarre una morale.

La famiglia (familia) era il pilastro fondamentale della costituzione romana, il nucleo originario e l’asse portante della società. Alla base di essa vi era l’unione tra uomo e donna, ritenuta istituto umano naturale e fondamentale poiché atto a garantire la sopravvivenza e la continuità del genere umano in generale ed in particolare della gens, ossia di un gruppo di famiglie che si pensava discendessero da uno stesso antenato. La famiglia a Roma era considerata un’istituzione sociale pubblica; sposarsi e mettere al mondo figli era considerato alla stregua di un obbligo e di una necessità sociale.

Dopo l’età repubblicana e dinnanzi alla decadenza dei costumi, Ottaviano Augusto prima e l’avvento del cristianesimo poi, ribadirono l’importanza dell’istituto familiare, rafforzandolo attraverso il vincolo della reciproca fedeltà dei coniugi, rifiutando la pratica del divorzio, limitando il potere assoluto del pater familias, riconoscendo in maniera esplicita la dignità della donna (questo grazie al cristianesimo).

Base della romanità sono i mores maiorum, le qualità morali incarnate dai Padri. Enumerando alcune di queste virtù, che i Romani considerarono sempre squisitamente romane, le troviamo tutte collegate all’assetto primitivo, agli scopi e al tipo di vita, alle prime lotte per l’esistenza e alla religiosità dei primi secoli della Repubblica. Esse formano un insieme organico. La prima di queste virtù appare essere il riconoscimento che l’uomo è subordinato a qualcosa di esterno che ha un potere vincolante su di lui, e il termine che designa tale potere, religio, ha una vastissima gamma di usi. Si definisce “uomo di altissima pietas” l’uomo religioso, e pietas è un aspetto di quella subordinazione alla quale si è appena accennato. Si è pii verso la divinità se se ne riconoscono i diritti; si è pii verso i genitori e gli anziani, verso i figli e gli amici, verso la patria e i benefattori, verso tutto ciò che suscita, o dovrebbe suscitare, rispetto e affetto, se si ammettono i loro diritti su di noi e si compiono i doveri che ce ne derivano. I diritti esistono in quanto i rapporti in questione sono considerati sacri. Gravitas è invece il senso dell’importanza di ciò cui si attende, cioè la serietà, lo zelo, il senso delle proprie responsabilità. Ѐ il contrario della levitas, qualità che i Romani disprezzavano: la leggerezza, l’incostanza, l’occuparsi di cose futili nel momento non adatto. Alla gravitas si accompagnano naturalmente la constantia, che è la fermezza di propositi, e la firmitas, la tenacia; o, a temperarla, la comitas, che è la giovialità, la bonomia, il buon umore. Disciplina è quel costante esercizio che porta alla fermezza di carattere; industria è l’attività, la laboriosità; virtus, il coraggio, la virile energia; clementia, la condiscendenza a rinunciare ai propri diritti; frugalitas, la frugalità, l’amore delle cose semplici.

Ed ancora, il rispetto per l’auctoritas, l’autorità; iustitia, la giustizia, ossia la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il suo; fides, il rispetto della parola data e del proposito manifestato, la fedeltà, verso gli amici e quanti da te dipendono, stimata come una delle cose più sacre della vita. Queste sono alcune delle qualità che i Romani più ammiravano; sono doti morali solide, che solo ad uno sguardo superficiale possono sembrare senza attrattive. Le doti che avevano aiutato i primi romani a imporsi contro la natura e contro i loro vicini, restarono sempre le virtù più alte. Ad esse il romano doveva se la sua città-Stato si era elevata al di sopra delle civiltà circostanti, civiltà che gli apparivano fragili e malsicure senza il sostegno di quelle virtù che egli stesso aveva faticosamente coltivato. Severitas, la rigidezza, in primo luogo verso se stessi, è forse la parola che meglio le riassume. La spiccata pietas religiosa romana, si realizzerà finalmente nel cristianesimo. Il passaggio di Roma dal paganesimo al cristianesimo può essere felicemente rappresentato dal pensiero e dall’insegnamento di uno dei quattro massimi Dottori della Chiesa cattolica, Sant’Ambrogio vescovo di Milano dal 374 al 397 d.C. (anno della sua morte). Ambrogio – appartenente ad una famiglia di antica nobiltà senatoria ed impegnato personalmente nell’amministrazione dell’Impero, in qualità di consularis della Liguria e dell’Aemilia, legato da vincoli di amicizia e di parentela con le grandi famiglie della nobiltà romana, pagana e cristiana – appare, per la sua cultura di base, fondata su Virgilio e Cicerone, un membro tipico della classe senatoria occidentale e latina del suo tempo.

Sant’Ambrogio rifiuta di identificare Roma con la religione pagana e afferma, anzi, che il paganesimo era la sola cosa che, con l’ignoranza di Dio, accomunava Roma con i barbari. 

Rifiuto, dunque, della religiosità pagana, ritenuta peraltro non specifica del mos romano, ma piena accettazione della tradizione politica, civile e militare identificata, da Ambrogio, con il vero mos maiorum di Roma. Emblematica è l’esaltazione che S. Ambrogio fa delle virtù di Camillo, di Attilio Regolo, di Scipione e dell’antica disciplina militare romana, fatta di fortezza, di vigilanza, di resistenza alla fatica, di dedizione alla causa comune (2).

Ed è ancora Ambrogio a fornire, nel De Obitu Theodosii, un chiaro insegnamento della concezione cristiana della fides militum, la quale ha come condizione e contropartita la devozione dell’imperatore al bene comune. Fides che è, insieme, la lealtà dei soldati verso l’imperatore e di questi verso Dio per il quale egli stesso milita. Il travagliato rapporto iniziale tra la religione di Cristo e la Roma pagana, si risolse dunque nella conversione alla fede cristiana da parte di sempre più vasti settori della popolazione, interessando tanto gli strati popolari quanto la nobiltà e l’ambiente militare, e culminando nella proclamazione del cattolicesimo quale religione dello Stato romano. L’avvento della nuova religione non significò alcuna rottura con l’essenza della romanità, identificata con quei mores maiorum pienamente assunti dalla dottrina cattolica nella forma di quelle virtù naturali che costituiscono la base su cui fondare una retta esistenza, conforme al volere di Dio e, per questo, votata alla gloria eterna. 
_______________________
Note
(1) Forma anche in senso aristotelico ossia principio attivo che ordina la società principio passivo. 
(2) Tra le figure esemplari della migliore romanità, non può mancare quella di Marco Porzio Catone (234-149 a.C.). Contadino, soldato, console, censore, oratore e storico, Catone (Cato maior) è stato lo strenuo promotore e difensore del mos maiorum e della romanità, contro la decadenza dei costumi, minacciati dalla corruzione di un certo ellenismo, e contro la potenza cartaginese, da lui ritenuta un pericolo mortale per Roma non solo militarmente e politicamente ma anche e soprattutto, in quanto portatrice di un modello di vita radicalmente diverso da quello romano. Marco Porzio Catone costituisce un punto di riferimento irrinunciabile; il suo operato ed il suo insegnamento, costituiscono uno degli esempi maggiori di coerenza e fedeltà al mos maiorum.  [Fonte]  

33 commenti:

Anonimo ha detto...

Fuori tema, segnalo:

https://www.riscossacristiana.it/santa-susanna-camusso-ora-pro-nobis-le-suore-sfruttate-dal-maschilismo-ecclesiale-alzano-la-voce-sullosservatore-romano-di-andrea-maccabiani/
Antonio

Anonimo ha detto...

Se il post di prima è assurdo e ridicolo il prossimo è aberrante.

https://www.riscossacristiana.it/il-gender-e-i-modi-nuovi-di-diventare-matti-di-maurizio-blondet/
Antonio

viandante ha detto...

Interessante il link di Antonio sulle suore "sfruttate".
In un sol colpo si potrebbe dire che si colpisce sia la vita religiosa sia quella familiare. L'unità di misura non è più il servizio, il bene della Chiesa o della famiglia, l'amore gratuito e caritatevole. Unico metro di misura è l'individuo e le sue aspirazioni terrene, poco importa se ciò comporta lo sfacelo della vita religiosa o della famiglia.

Anonimo ha detto...

I cattolici in politica non ci sono più per il semplice fatto che da molto tempo hanno cessato di esserci nella società e nella cultura. L’editoria cattolica è morente. La stampa cattolica è priva di identità. Di insegnanti cattolici nella scuola non se ne vedono.

!!.....Andrea Riccardi registra un video in appoggio ad un candidato della stessa giunta Zingaretti, quella che aveva bandito un concorso riservato a medici abortisti. E stiamo parlando nientemeno che di Movimento per la Vita e Comunità di Sant’Egidio.

......Quando la Chiesa non educa più – e proprio questo sta avvenendo in campo politico – succede che i laici cattolici spariscano dai parlamenti e che siano allora i vescovi a trattare direttamente con i partiti e i governi. È il nuovo clericalismo, ..... http://www.lanuovabq.it/it/linevitabile-irrilevanza-dei-cattolici

Anonimo ha detto...

" Ai laici bisogna tornare ad insegnare la retta( e completa) Dottrina sociale della Chiesa . Bisogna tornare ad insegnare e a formarsi alla verita' . E bisogna farlo dal basso , anche in piccole iniziative . Il ruolo primario in questo momento spetta ai laici...."
Stefano Fontana 3 Marzo 2018
https://cooperatores-veritatis.org/2018/03/03/intervista-a-stefano-fontana/

Anonimo ha detto...

Viandante, se leggi anche l'altro link ti metti le mani nei capelli, veramente siamo arriva all'aberrazione.
Antonio

irina ha detto...

C'è di che imparare, di che nutrirsi ancora.

mic ha detto...

https://it.aleteia.org/2018/03/05/foto-esclusive-processione-con-rosario-a-new-york-verso-una-clinica-di-planned-parenthood/

Anonimo ha detto...


Una bella sintesi, da precisare in qualche punto.

1. Alla romanità classica non possiamo attribuire un rispetto della "dignità della persona" nel senso (teorico) nostro. Il concetto della "persona" fu elaborato proprio da un romano, Severino Boezio (m. AD 525), ma quando la "romanità" in senso proprio era finita e si trattava solo di raccoglierne e mantenerne i valori degni di esser conservati. Comunque, un concetto di "persona" che prescindeva da quegli attributi che noi oggi conferiamo ad esso, per esempio in campo politico (libertà di espressione, di voto etc.). La "parresia", la libertà di parola, non era per la mentalità romana da attribuirsi a tutti, valeva soprattutto per chi avesse autorità e quindi fosse legittimato a parlare, a intervenire.
2. Chi erano "i Romani"? Solo inizialmente gli abitanti di Roma e dintorni, del Lazio. I valori nei quali credevano i romani repubblicani erano quelli dei popoli italici del tempo, etnie schierate sulla dorsale appenninica e molto bellicose. Le legioni erano composte ad un certo punto soprattutto da Umbri, Marsi, Sanniti. INsomma, la "romanità" era anche "l'italianità" del tempo. Alla quale vennero a partecipare gradualmente anche gli altri popoli dell'Italia: etruschi, greci del meridione, celti della pianura padana, dopo le grandi lotte sostenute con Roma, liguri. I veneti apparvero sempre come popolo indipendente, alleato dei Romani, che ne condivise i valori spontaneamente (Tito Livio era di Padova).
3. CAto maior rappresentava la "romanità" e "l'italianità" nel senso più duro. Fu l'uomo del "Delenda Carthago", una decisione crudele, presa a maggioranza dopo un acceso dibattito nel Senato: espellere gli abitanti e demolire la città. La "romanità" nel suo aspetto migliore non è però questa: è quella che mostra un forte senso del diritto e politico, che sa assimilare i nemici di ieri e governare concedendo le giuste autonomie.
4. L'autore dell'articolo sembra affascinato dall'idea dell'impero. Fu l'impero, inevitabile data la vastità delle conquiste, a provocare alla fine la crisi e la caduta di Roma, sopravvivendo in Oriente come Stato Greco. Il discorso è complesso, così come quello sul rapporto tra i valori (quelli positivi) di Roma pagana e di Roma cristiana, un rapporto che indubbiamente si riscontra in figure come S. Ambrogio e Gregorio Magno. Forse converrebbe oggi rivalutare soprattutto la componente "italiana" (italica) della "romanità", quella che portò all'unificazione (politica e spirituale) di una penisola aperta da sempre a tutte le invasioni.
5. Oggi dei romani antichi si vogliono vedere solo i difetti: i sanguinari giochi circensi, la faziosità politica, la mentalità classista, etc. Molte critiche sono assurde. La schiavitù era diffusa dappertutto e comunque lo schiavo nel mondo romano poteva affrancarsi. Dannare i romani per gli episodi di crudeltà nelle loro tante guerre è ridicolo, così come paragonarli a Hitler, come ha fatto, mi sembra, la faziosissima Simone Weil.
PP

irina ha detto...

https://www.maurizioblondet.it/la-ue-dittatore-non-vi-avvertito/

LA UE HA IL DITTATORE. E NON VI HANNO AVVERTITO.
Maurizio Blondet 6 marzo 2018 5 commenti

irina ha detto...

Aggiungo questo commento all'articolo di Blondet che ho segnalato sopra, mic regolati se passarlo o no:


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Zerco • un'ora fa
I "tedeschi lurchi" di Dante citati opportunamente da Blondet mi hanno evocato anche quelli di Carducci: «fan pasqua i lurchi nelle lor tane e poi calano a valle». I nostri grandi poeti ci avevano saggiamente avvertito, ma noi non gli abbiamo dato retta fino a preferirgli, oggi, il "verbo" degli economisti: i carnefici anglosassoni della società e delle tradizioni.
Ma Blondet, nel post scriptum, ha toccato un altro punto fondamentale dello smantellamento della nostra cultura: il diritto.
Mano a mano il diritto romano viene sostituito dal common law (vedi le sentenze"gender" che si richiamano non più a principi, ma a precedenti o a fatti compiuti) o dalla giustizia sommaria USA (cosa più evidente il Patriot Act).
La sostituzione della nostra cultura greco-romana-cristiana con quella anglo-colonial-evangelica avviene, oggi, soprattutto tramite la lingua: il parlare inglese ci introduce in testa il modo di pensare angloamericano. L'imposizione dell'inglese ci impone le consuetudini e anche le leggi angloamericane: questo anche grazie al collaborazionismo beluino e vorace dei lurchi, che pure sono più protetti degli altri europei, proprio dalla loro lingua impossibile.
A questo proposito, tuttavia, ho accolto con grande soddisfazione una sentenza del Consiglio di Stato del 29 gennaio che, rigettando il ricorso di alcuni docenti, proibisce che nelle università italiane vi siano corsi di laurea solo in inglese.
Nel dispositivo si afferma chiaramente che avere corsi di laurea solo in inglese è incostituzionale. Gli atenei si dovranno adeguare e se avevano un corso di ingegneria in inglese che insegnava a tanti ragazzi post-erasmus a fare tante belle casette americane in truciolato, dall'anno prossimo dovranno affiancargli un corso parallelo in italiano che insegnerà a fare case italiane in muratura.
Una scintilla di orgoglio, ma probabilmente mi sto illudendo...

RR ha detto...

la faziosissima Simone Weil

Lei aveva un problema genetico coi Romani. Come tutti i suoi co-genetici.

viandante ha detto...

Mi convinco sempre più che l'apostasia, così come la deriva civile e morale delle nostre società sia sempre più riconducibile al benessere.
Non per niente dopo il peccato di Adamo ed Eva il Signore ci impose come castigo (e il castigo di Dio è sempre mirato alla nostra conversione e al nostro sommo bene) di guadagnarci il pane con il sudore della fronte!

Avevo già letto Antonio... In questo momento, per fortuna, devo tornare al lavoro. Ho una scusa per evitare di affrontare queste indicibili situazioni. Signore pietà!

Anonimo ha detto...

http://www.libertaepersona.org/wordpress/2018/03/polonia-una-patria-che-parla-alleuropa/

Anonimo ha detto...

https://www.youtube.com/watch?v=2-UTn9m6YNQ

Anonimo ha detto...

Andiamo verso la barbarie.

Anonimo ha detto...

Avanti tutta ! Riprendano gli sbarchi e i travasi di bile !
http://www.ilgiornale.it/news/politica/elezioni-vaticano-continueremo-ad-educare-contro-paura-dei-1501768.html#/senato/emiciclo/1

Anonimo ha detto...


OT « I "dubia" hanno un cardinale in più, l'olandese Willem Jacobus Eijk » (Sandro Magister).

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/03/05/i-dubia-hanno-un-cardinale-in-piu-lolandese-willem-jacobus-eijk/

Anonimo ha detto...

"Tutti abbiamo gioito per la batosta epocale della sinistra classica, della Bonino e per l'umiliazione dei sostenitori loro e dell'invasionismo.
Ma ora, credo, che dovremmo iniziare ad aprire gli occhi.
E' piuttosto difficile che il Centro-Destra possa farcela a creare un governo. Molto ma molto difficile.
Pertanto, magari con un parto lungo e sofferto, l'esito di queste elezioni sembra segnato. E Mieli ieri sera lo ha detto chiaramente.
Ed è l'inferno in Italia.
E' tempo che ci svegliamo... I sinistri non mollano mai il potere. Mai. Finché hanno un millimetro quadrato di manovra, manovrano.
Non potete certo pensare che si preoccupino della democratica volontà popolare... Queste sono barzellette per gli idioti.
Possiamo ancora sperare... Ma è tempo che ci svegliamo. In tutti i sensi."

mic ha detto...

Anonimo 22:22

Questa conclusione l'avevo già tratta in un articolo del 26 gennaio scorso:
https://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2018/01/anche-il-card-willem-eijk-chiama-in.html

Anonimo ha detto...

Esce di casa e uccide un africano senza motivo. Ma il pistolero è comunista, escluso il movente razziale.

E però i sinistri aizzano la canea dei clandestini contro i fascisti e Salvini...

Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, parla del gesto di un folle senza minimamente tirare in ballo il razzismo... (certo, è un comunista!)

mic ha detto...

Firenze, l’inaccettabile guerriglia senegalese e lo Stato con il machete alla gola
http://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/firenze-linaccettabile-guerriglia-senegalese-lo-machete-alla-gola-80914/

Anonimo ha detto...

Milano, Firenze, poi?

Un'aggressione a colpi di piccone. Senza una ragione. Almeno per il momento. Questa mattina a Milano, nel quartiere Niguarda, un clandestino di origini ghanesi ha ferito quattro persone (di cui due gravemente) e ne ha uccisa una prima di essere bloccato dai carabinieri.
....
L’aggressore, in evidente stato di agitazione, non ha detto niente ai militari. Il killer si chiama Mada K. ed è un giovane ghanese irregolare e con precedenti per rapina, furto e resistenza a pubblico ufficiale. Era stato foto-segnalato nel 2011, in Puglia, e intimato all’espulsione. Secondo indiscrezioni, successivamente sarebbe stato identificato durante un normale controllo circa un mese fa anche a Milano.

"I clandestini che il ministro di colore vuole regolarizzare ammazzano a picconate - ha commentato il segretario della Lega lombarda, Matteo Salvini - Cecile Kyenge rischia di istigare alla violenza nel momento in cui dice che la clandestinità non è reato, istiga a delinquere". Al telefono con l’Agi, Salvini ha invitato a non trascurare il fatto che sia stato commesso da un clandestino che non avrebbe dovuto essere in Italia, ma avrebbe dovuto essere espulso. "Altro che abolizione del reato di clandestinità - ha continuato - ci sono già migliaia di gazebo pronti: seppelliremo il ministro Kyenge con migliaia di firme".
http://m.ilgiornale.it/news/2013/05/11/prende-a-picconate-passanti-clandestino-uccide-una-persona/916215/

Anonimo ha detto...

Un nero ideologizzato come Balotelli se la prende con una persona pacata, istruita, dotata di grande buon senso, solo perché è il primo senatore nero della storia d'Italia.
E, guarda caso, candidato da uno come Salvini che definiscono razzista solo perché difende l'identità la cultura i confini nazionali.

Anonimo ha detto...

Temo che non cambierà nulla e per effetto delle solite alchimie ci ritroveremo per i prossimi 5 anni a vedere ancora falsi rifugiati, galeotti stranieri che restano qua mantenuti, negri nelle città che spaccano tutto, approvazione dello ius soli, il gender nelle scuole, l'eutanasia, ecc.

Chi lo vive sulla sua pelle! ha detto...

A Lampedusa non vogliono più sbarchi. La Lega vola al 15% nell’isola Salvini sfonda anche nel comune più a sud d’Italia. Gli isolani non vogliono più clandestini

http://www.ilpopulista.it/news/6-Marzo-2018/24144/a-lampedusa-non-vogliono-piu-sbarchi-la-lega-vola-al-15-nellisola.html

Anonimo ha detto...

LA SCELTA DI SOROS.
"A differenza di Salvini i pentastellati non hanno mai calpestato la linea rossa dell'intolleranza e non hanno mai soffiato sull'odio" scrive oggi Federico Fubini, vicedirettore del "Corsera".
Non molti lo sanno, ma Fubini è l'unico giornalista italiano (anzi l'unico italiano tout court) a far parte del Comitato esecutivo europeo (Advisory Board) di Open Society, la principale delle fondazioni di George Soros. Chiunque può controllare. Fubini è il portavoce non ufficiale di Soros sulla carta stampata italiana. E così prosegue: "In quasi tutte le capitali europee Matteo Salvini viene visto come l'uomo che ha steso una nube tossica sull'intero fronte conservatore italiano con le uscite incendiarie, le posizioni xenofobe e l'elogio della democrazia illiberale all'ungherese". Soros quindi - tramite il suo fidato portavoce italiano non ufficiale - fa capire (come ieri in tv il vecchio Eugenio Scalfari) che Di Maio è di gran lunga il male minore (dal suo punto di vista sovversivo) per l'Italia. Morto un papa (Renzi) se ne fa un altro.
Rosario Del Vecchio su Fb

Anonimo ha detto...

Il ritorno del voto di classe, ma al contrario (ovvero: se il PD è il partito delle élite)
https://cise.luiss.it/cise/2018/03/06/il-ritorno-del-voto-di-classe-ma-al-contrario-ovvero-se-il-pd-e-il-partito-delle-elite/

Anonimo ha detto...

Il parlamento sudafricano ha infatti approvato giovedì scorso una mozione del partito comunista sudafricano EFF (Economic Freedom Fighters) volto a espropriare i terreni appartenenti ai bianchi (fonte). È quindi immaginabile che la situazione per i bianchi in Sudafrica, in contrasto con l’immagine di un armonioso multiculturalismo come da tempo ci presentano i media, non farà altro che peggiorare, e questo nel silenzio quasi completo della comunità internazionale e dei media occidentali.
http://www.mattinonline.ch/sudafrica-dichiara-guerra-ai-bianchi/

Non c'e' bisogno di affaticarsi tanto , la soluzione e' lì bell'e pronta : togliere agli uni e darlo agli altri!
E' così semplice...

Anonimo ha detto...

Lampedusa? Interessante, perché potrebbe dare un'idea di come si voterà in molte altre parti quando la situazione sarà ulteriormente peggiorata:
affluenza 47,4% !
centro destra 47,6% dei votanti
5 stelle 42,5
centro sinistra 7.
All'interno del centro destra :
Forza Italia 29,5
Lega 14,6
Fratelli d'Italia 2,8.
Lega e Fratelli d'Italia sono sotto la loro media nazionale.
Sembra che gli italiani abbiano paura del loro stesso istinto di conservazione; forse temono che ci possa essere in esso qualcosa di "fascista".

mic ha detto...

Non c'e' bisogno di affaticarsi tanto , la soluzione e' lì bell'e pronta : togliere agli uni e darlo agli altri!
E' così semplice...


Effetti di ogni contesto anti-cristiano...

Anonimo ha detto...


Il suprematismo nero all'attacco

Sembra che in Sud Africa vogliano espropriare senza nemmeno alcuna forma di
indennizzo. Una vera e propria rapina. La scusa è che i bianchi, in netta
minoranza, detengono la maggior parte delle terrre. E'vero, ma legalmente.
Inoltre, le lavorano bene e sicuramente si servono anche di un ceto di
lavoratori neri. Come era nello Zimbaue. L'agricoltura del paese, in mano
ai bianchi, era eccellente, nutriva tutti ed esportava in tutta la zona.
I bianchi avevano pochi figli, in generale, e stavano allevando un ceto
di lavoratori ed anche esperti neri, che, imparando da loro, un domani
sarebbero subentrati, come classe di agricoltori africani neri. Bastava
aver pazienza, lasciar maturare le cose. Ma il sinistro Mugabe (da giovane
allievo dei Gesuiti, cattolico), padrone del paese,
aveva fretta di sistemare i capi della sua tribù: cacciò all'improvviso
i bianchi, riducendoli in miseria,
ci furono omicidi, furti, distruzioni. Diede le terre ai neri,
che le lasciarono andare in rovina, essendosi disperso il ceto di cooperatori
neri competenti. Pare che lo stesso Mugabe, anni fa, abbia detto, di fronte
al disastro e alla carestia: - Forse mi sono sbagliato, a togliere le terre
ai bianchi.
Il Sud Africa appare avviato sulla stessa strada, conforme del
resto all'ideologia comunista. Tale Stato ha anche approvato
anni fa il "matrimonio omo". I bianchi del Sud Africa non sono
però quattro gatti come quelli della ex Rhodesia. Sono una minoranza
ma credo siano alcuni milioni, con una buona tradizione militare.
Se fossero costretti a fuggire in massa
sarebbero loro i veri profughi da accogliere, non i neri finti profughi
e razzisti che ci stanno invadendo.
Dal SudAfrica ci fu anni fa un'ondata limitata di bianchi
in fuga, in genere medici, ingegneri etc., che andò nei paesi anglosassoni
e in Irlanda. Ma non credo che abbia avuto vita facile, una parte anzi
è tornata indietro. Adesso vedremo cosa succederà.
Purtroppo, si stanno avvicinando guerre terribili, a base razziale e
religiosa, difensive per noi occidentali, perché adesso i "colonizzati" anzi gli
"invasi" siamo noi.
H.

15 marzo 44 aC - Idi di marzo ha detto...

«Giulio Cesare - si diceva - era conosciuto un pò meglio, da Cristo Gesù, che non da Teodoro Mommsen e da altri. Chi aveva visto il giorno di Abramo e di Mosè aveva visto anche il giorno di Cesare e aveva provveduto dall'alto ad assistere anche lui. Ora, qui, troppo spesso si dimentica che cosa Cesare ha realmente rappresentato nella Storia Romana. Nel più grande dei Giulii sono confluite le due correnti fondamentali di questa travagliata, complessa e dinamicissima Storia che è stata meritatamente presa come modello tipico per tutto le possibili vicende dell'intera Umanità. A quel tempo, tali due correnti, meglio che in Mario e in Silla, possono venir sintetizzate dall'eredità conservatrice e aristocratica degli Scipioni e dall'eredità innovatrice e sociale dei Gracchi. Cesare, collegato con entrambe, assunse una posizione di centro, di aristocrazia sociale; e questo viene di regola obbliato dagli storici e dai politici odierni, per i quali il "cesarismo" è sinonimo di dittatura, d'imposizione e d'altri ingredienti del genere. Cesare fu l'interprete della Tradizione, ma anche del Rinnovamento. Prima ancora del bando del Vangelo che rendeva pari dignità agli uomini, concepì d'estendere la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero. (Ideale poi attuato con la "Constituio antoniniana" del 212) Proprio per questi motivi, la casta reazionaria dei Senatori provvide a farlo uccidere. Nel campo civile, Cesare anticipò quella grande sintesi universale che Gesù operò nel campo religioso. Il prezzo è, per entrambi, il martirio».

Silvano Panunzio